Normativa
Nel realizzare un sito per il commercio elettronico, o e-commerce,
si devono rispettare specifici vincoli giuridici. La Comunità
Europea ha emanato varie direttive in materia, la principale è la
direttiva 2000/31/CE che fissa i principi generali, attuata in
Italia dal decreto legislativo 9 aprile 2003 n. 70. Tale decreto
stabilisce il principio che chi intende svolgere attività di
commercio elettronico, o più genericamente intenda prestare servizi
nella società dell’informazione, ha libero accesso a tale settore
senza necessità di un’autorizzazione preventiva, fatti salvi i casi
relativi a settori speciali (ad esempio i servizi postali), regolati
diversamente. Per cui il controllo dei servizi nella società
dell’informazione deve essere effettuato all’origine dell’attività,
cosicché un prestatore di servizi che opera stabilmente nel
territorio italiano sarà assoggettato alle norme e alle sole
incombenza amministrative imposte dallo Stato italiano.
Altre norme in materia sono poste dal decreto legislativo 1 marzo
1998, n. 114 (decreto Bersani), recante la riforma della disciplina
del commercio, il quale all’articolo 18 prevede la “vendita per
corrispondenza, televisione o altri sistemi di comunicazione”, così
comprendendo tutte le ipotesi di vendita al dettaglio attraverso un
sito internet o, in generale, le vendite a distanza.
Poi abbiamo il decreto legislativo 185 del 22 maggio 1999 che
riguarda la protezione dei consumatori nelle vendite a distanza.
Infine, modifiche alla normativa in materia sono state introdotte di
recente col decreto legislativo 59 del 2010, che recepisce la
direttiva 123/2006/CE del Parlamento Europeo, con la quale direttiva
la Comunità Europea ha indicato quale suo obiettivo prioritario
l’eliminazione delle barriere allo sviluppo del settore dei servizi
tra Stati membri, per il cui raggiungimento prevede la
semplificazione normativa e amministrativa della regolamentazione e,
in particolare, delle procedure e delle formalità relative
all’accesso e allo svolgimento delle attività di servizio.
decreto legislativo 1 marzo 1998, nr.
114,
Commercio elettronico
Il commercio elettronico è stato definito dalla Comunità europea
come lo svolgimento di attività commerciali e di transazioni per via
elettronica, e comprende attività diverse quali: la
commercializzazione di beni e servizi per via elettronica, la
distribuzione online di contenuti digitali, l’effettuazione per via
elettronica di operazioni finanziarie e di borsa, gli appalti
pubblici per via elettronica ed altre procedure di tipo transattivo
delle Pubbliche Amministrazioni. Quindi, il commercio elettronico
comprende tutte le procedure che adottano strumentazioni
elettroniche, e non solo le transazioni che avvengono in una rete
telematica. Importante è ricordare che il commercio elettronico non
si esaurisce nello strumento per il contatto tra fornitore e
consumatore, ma si estende a tutte le fasi della distribuzione
(eccetto la consegna che normalmente avviene via posta).
Consumatore
Il soggetto che acquista beni o servizi tramite un sito internet, se
agisce per scopi estranei alla propria attività professionale viene
definito consumatore, ed in tal caso le leggi gli offrono una
speciale protezione. Egli ha degli specifici diritti imposti dalla
normativa sulle vendite a distanza, prevista nel nostro ordinamento
dal decreto legislativo 185 del 22 maggio 1999 che, all’art. 5,
riconosce al consumatore il diritto di trovare sul sito dove
effettua gli acquisti delle precise e corrette informazioni, in
particolare il consumatore deve essere informato per iscritto
dell’esistenza del diritto di recesso, dei termini e delle modalità
per il suo esercizio, con caratteri tipografici chiari e non
inferiori a quelli impiegati per le altre informazioni, ed inoltre
deve avere la possibilità di stampare tali informazioni o deve
riceverle per mail. In assenza di tali informazioni, oppure nel caso
di informazioni errate od incomplete, il termine per l’esercizio del
diritto al recesso, che normalmente è di 10 giorni, si sposta a 90
giorni.
Condizioni per l’e-commerce
Limitandoci al B2C (Business to consumer), cioè all’attività di
commercio tra imprese e consumatori finali, cioè l’attività svolta
da chiunque professionalmente acquisita merci in nome e per conto
proprio e le rivende, su aree private in sede fissa o mediante altre
forme di distribuzione, direttamente al consumatore finale, la
normativa in materia, prevista dall’art. 4 del D. Lgs 114/1998, non
si applica:
- agli artigiani, per la vendita nei locali di produzione o nei
locali a questi adiacenti dei beni di produzione propria
(l’artigiano, infatti, non acquista merci per rivenderle ma vende i
beni che produce);
- alle associazioni dei produttori ortofrutticoli;
- ai titolari di rivendite di generi di monopolio;
- ai produttori agricoli;
- alle vendite di carburante;
- ai pescatori e alle cooperative di pescatori;
- a chi vende o espone per la vendita le proprie opere d’arte,
nonché quelle dell’ingegno a carattere creativo, comprese le proprie
pubblicazioni di natura scientifica o informativa;
- all’attività di vendita effettuata nelle fiere campionarie e nelle
mostre di prodotti;
- ai farmacisti;
- alla vendita dei beni del fallimento;
- agli enti pubblici o alle persone giuridiche private partecipate
dallo Stato o da enti territoriali.
L’attività di commercio, per essere soggetta ad adempimenti di
natura formale, deve essere professionale ed abituale, cioè non
occasionale, deve prevedere l’acquisto di prodotti e/o servizi, e
deve essere finalizzata alla successiva rivendita. Secondo il
Ministero dell’Economia e delle Finanze “i requisiti di
professionalità e abitualità sussistono ogni qual volta il soggetto
ponga in essere con regolarità, sistematicità e ripetitività una
pluralità di atti economici finalizzati al raggiungimento di uno
scopo”.
Un’attività che sia svolta in maniera saltuaria od occasionale, come
la vendita di alcuni mobili usati, non è invece soggetta alle norme
in materia di commercio.
Obblighi
Nel caso di B2C la normativa è più rigorosa rispetto al B2B
(Business to Business), perché le parti non sono poste sullo stesso
piano, e il consumatore ha diritto ad una maggiore tutela rispetto
all’imprenditore che ha una posizione di supremazia. In particolare,
il titolare del negozio elettronico deve presentare una
dichiarazione di inizio attività produttive (DIAP) al Comune di
residenza (infatti la sede del prestatore di servizi prescinde
dall’ubicazione dei server o del sito web), oppure nel quale ha sede
la persona giuridica, come previsto dal decreto legislativo 59 del
2010. L’oggetto di tale dichiarazione è la sussistenza dei requisiti
previsti dall’art. 5 del decreto legislativo 114 del 1998, cioè i
requisiti di capacità ed onorabilità, fra cui l’assenza di
fallimenti, condanne penali, o della qualità di “delinquente
professionale”. Inoltre va indicato il settore merceologico di
attività del sito nonché un dominio web. Quest’ultimo requisito va
indicato comunque, anche se si vende tramite siti non di proprietà,
come EBay, per cui va comunque acquistato. Al modulo si deve
allegare un bollettino con il pagamento delle spese di tesoreria.
L’attività può essere iniziata immediatamente, senza attendere alcun
termine.
Il decreto 114 del 1998 vieta, inoltre, l’invio di prodotti al
consumatore, se non a seguito di sua specifica richiesta,
consentendo però l’invio di campioni di prodotti o di omaggi, ma
solo se tale invio non comporti spese o vincoli per il consumatore.
Le operazioni di vendita all’asta devono ritenersi vietate.
È infine proibito il commercio all’ingrosso e al dettaglio
congiuntamente, a meno che non siano approntate due aree nettamente
separate sul sito con la chiara indicazione della destinazione.
Dati da apporre sul sito web
Dalla dichiarazione di inizio attività devono risultare, per i
soggetti che svolgono commercio elettronico, l’indirizzo del sito
web e i dati identificativi dell’internet service provider. Inoltre
deve essere indicato sul sito anche il numero di partita Iva, e
questo a prescindere delle concrete modalità di esercizio
dell’attività.
Quindi un soggetto che usa il sito web al solo fine di pubblicizzare
i prodotti che vende solo nel negozio su strada (e non online),
dovrà comunque indicare la partita Iva sul sito (ma non dovrà
effettuare comunicazioni al Comune).
Le informazioni che devono essere obbligatoriamente poste sul sito
in maniera accessibile, in base all'articolo 7 del decreto
legislativo 70 del 2003, sono le seguenti:
- nome, denominazione o ragione sociale;
- domicilio o sede legale;
- estremi che consentono di contattare rapidamente il titolare,
compreso l’indirizzo email;
- numero di iscrizione al repertorio delle attività economiche, REA,
o registro delle imprese;
- elementi di individuazione dell’autorità di vigilanza qualora
l’attività sia soggetta a concessione, licenza o autorizzazione;
- in caso di professioni regolamentate, l’ordine professionale, il
titolo professionale e il riferimento a codici di condotta vigenti,
- numero di partita Iva;
- indicazione chiara dei prezzi e delle tariffe dei servizi,
evidenziando se comprendono imposte e costi di consegna;
- esistenza del diritto di recesso con le modalità per l’esercizio,
o sue eventuali esclusioni.
La Corte di Giustizia Europea (C-298/07 del 2008) ha, inoltre,
stabilito che chi fa commercio elettronico deve mettere a
disposizione un contatto efficace con i consumatori, nel senso che
il consumatore deve sempre avere la possibilità di chiedere
chiarimenti o comunque prendere contatti col venditore, anche prima
della stipula del contratto. In considerazione del fatto che chi non
ha una connessione internet potrebbe avere gravi difficoltà a
contattare il prestatore, la Corte ha stabilito che, su richiesta
esplicita del cliente, si deve obbligatoriamente mettere a
disposizione un numero telefonico o un altro accesso non elettronico
per una comunicazione diretta.
Nel sito deve essere presente anche un’informativa per la privacy,
ai sensi dell’art. 10 della legge 675 del 1996.
Contratto online
Ovviamente l’attività di un sito e-commerce comporta la conclusione
di contratti online ai quali si applicano le medesime norme che
regolano i contratti realizzati tra persone compresenti.
Diritto di recesso
Per tutelare il consumatore che acquista un bene a distanza, e non
ha quindi la possibilità di verificare le caratteristiche e la
corrispondenza del bene alle proprie esigenze ed aspettative, per
gli acquisiti online è previsto il diritto di recesso che può essere
esercitato senza alcuna penalità e senza doverne specificare il
motivo. Inoltre, il consumatore deve essere informato dal venditore
delle modalità di esercizio del recesso, in particolare con
l’indicazione dei tempi di restituzione o ritiro del bene,
dell’indirizzo geografico della sede del venditore a cui presentare
reclami, e deve avere informazioni sull’assistenza e sulla garanzie
commerciali esistenti.
Il recesso può essere esercitato nel termine di 10 giorni dal
ricevimento della merce, ma in assenza delle informazioni
suindicate, oppure in caso di informazioni inadeguate, il termine
per l’esercizio del recesso diventa di 90 giorni. Le informazioni
devono comunque essere rilasciate non oltre il momento della
consegna della merce, e il consumatore può sempre richiedere il
rilascio di tali informazioni nella propria lingua, anche se il
venditore è di altro paese.
Il diritto di recesso si esercita con l’invio di una raccomandata AR
(o telefax, telegramma, telex, email, a condizione che ci sia
conferma tramite raccomandata AR nelle 48 ore successive, od anche
mail tramite Pec se entrambe le parti sono dotate di posta
certificata) alla sede del venditore nei 10 giorni (il termine si
riferisce alla spedizione della raccomandata, non alla ricezione)
dalla consegna della merce, con la quale comunicazione si chiede
anche la restituzione del prezzo pagato, oltre le spese. Al
ricevimento il contratto cessa di avere effetto tra le parti.
Entro lo stesso termine, o nel diverso termine previsto dal
contratto, deve essere restituito il bene acquistato. Il termine si
intende rispettato al momento della consegna delle marce allo
spedizioniere.
Per esercitare il recesso è essenziale che i beni siano integri e
che l’oggetto abbia la confezione originale, ma non è previsto che
la confezione sia integra, ed è illegittimo negare il recesso al
consumatore che ha provato il bene.
Le spese di restituzione della merce sono a carico del venditore, ma
possono anche essere poste a carico del consumatore, e spesso accade
proprio così. Il venditore, infine, deve restituire il prezzo pagato
nei 30 giorni dalla restituzione della merce, prezzo che comprende
anche le spese di invio della merce, come ribadito dalla sentenza
della Corte di Giustizia europea C 511/08 del 15 aprile del 2010,
poiché la legge prevede che solo le spese per la restituzione della
merce siano a carico del consumatore. Se il venditore non rimborsa
il consumatore, quest’ultimo può rivolgersi al giudice, e il
venditore rischia una sanzione amministrativa, oltre alla condanna
alla restituzione delle somme.
Il diritto di recesso è però escluso:
- per i prodotti personalizzati (ad esempio un prodotto con il
vostro nome inciso sopra);
- per i beni deperibili;
- per i giornali e le riviste;
- per i prodotti audiovisivi o di software sigillati, se aperti dal
consumatore;
- per i servizi di scommesse e lotterie;
- per la fornitura di beni o servizi il cui prezzo è legato a
fluttuazioni dei tassi del mercato finanziario non controllabili dal
fornitore.
Il recesso è un diritto del consumatore, cioè aziende e
professionisti che in tale veste abbiano effettuato un acquisto non
potranno avvalersene.
Garanzia di conformità
Qualora il bene ricevuto sia difforme da quello richiesto, cioè
presenti difetti o malfunzionamenti o comunque non sia idoneo
all’uso al quale sono destinati beni dello stesso tipo, non sia
rispondente alla descrizione del venditore oppure non presenti la
qualità di un bene dello stesso tipo, il consumatore gode delle
stesse garanzie previste per le compravendite tradizionali, in
particolare la garanzia di conformità prestata dal venditore (detta
anche legale perché obbligatoria per legge), e la garanzia di buon
funzionamento prestata dal produttore.
La garanzia legale in tutti i paesi della comunità europea vale per
due anni dalla consegna del bene (può essere ridotta ad un anno per
i prodotti di seconda mano o comunque usati) e può essere fatta
valere entro due mesi dalla scoperta del problema. Per i primi sei
mesi dall’acquisto, se il prodotto è difettoso, si presume che lo
fosse al momento dell’acquisto, quindi non sarà il consumatore a
dover dimostrare di non averlo danneggiato. È importante ribadire
che è il venditore che deve sostituire i prodotti difettosi non
idonei all’uso, non il produttore.
Il consumatore ha innanzitutto la scelta tra la riparazione del bene
o la sua sostituzione, che deve avvenire in un congruo termine. In
caso di riparazione o sostituzione spetta al venditore pagare le
spese per la spedizione, i materiali e la manodopera. Nel caso non
siano possibili nessuna delle due, oppure siano eccessivamente
onerose per il venditore, od anche il venditore non vi abbia
provveduto in un congruo termine, il consumatore può optare tra la
riduzione del prezzo o la risoluzione del contratto, con
restituzione del denaro al cliente e del bene al venditore. La
scelta sul rimedio da attuare spetta sempre al consumatore, e il
venditore resta obbligato alla sua scelta.
Controversie e competenza territoriale
Sulla base della normativa in materia, in particolare la Convenzione
di Roma del 1980, il Codice del Consumo, la convenzione di Bruxelles
e il regolamento 2001/44/CE, per le controversie inerenti il
commercio online in cui è presente un consumatore la competenza
territoriale inderogabile è del giudice del luogo di residenza o di
domicilio del consumatore, se ubicato nel territorio dello Stato.
Eventuali clausole difformi si ritengono inefficaci. Esistono
comunque procedure conciliative extragiudiziali.
Adempimenti
Riassumiamo qui di seguito i vari passi che deve compiere un
soggetto che regolarmente ed in via continuativa intenda vendere
beni o prestare servizi online, e quindi aprire un sito e-commerce:
- apertura della partita Iva: da chiedere all’Agenzia delle Entrate
compilando l’apposito modulo nel quale dovrà essere indicato il
codice della categoria merceologica (solitamente Commercio al
dettaglio di prodotti non alimentari su internet); nel caso non si
tratti di ditta individuale ma di più soci occorre aprire una
società di persone tramite notaio (circa 1.500 euro);
- iscrizione Inps: l’Agenzia delle Entrate comunicherà i vostri dati
all’Inps (quindi voi non dovete presentare alcuna domanda) che
vi assegnerà un codice contribuente e vi imporrà trimestralmente il
pagamento dei contributi previdenziali ;
- acquistare un dominio web: se si decide di vendere su
un sito proprio, il
dominio deve essere indicato nella dichiarazione al Comune, quindi
va acquistato;
- dichiarazione di inizio attività produttive (DIAP o SCIA) al
Comune di residenza (se persona fisica) o dove è posta la sede
legale (se persona giuridica), con apposito modulo, al quale va
allegato un bollettino con il pagamento delle spese di tesoreria
(circa 70 euro); al modulo, originariamente definito Com 6bis e
modificato dal decreto legislativo 59/2010, va allegato un
bollettino per il pagamento delle spese di tesoreria (circa 70
euro);
scarica il modulo
COM
6 BIS
- iscrizione CCIAA (Camera di Commercio Industria Artigianato e
Agricoltura): con la DIAP e la partita Iva si può iscrivere la ditta
individuale (o la società) alla Camera di Commercio della propria
provincia (circa 300 euro);
- nel caso di commercio alimentare si deve seguire un corso di
abilitazione al commercio alimentare tenuto presso la CONFCOMMERCIO
e superare l’esame relativo;
- aprire un conto corrente bancario: il conto è specifico per la
ditta ed è necessario perché dal 2007 i pagamenti di contributi e
dell’Iva vanno fatti a mezzo modello F24 online;
- commercialista: per gli adempimenti fiscali occorre un
commercialista, e poi si devono acquistare i libri contabili e farli
registrare, oltre il registratore di cassa e i blocchetti per le
ricevute e le fatture;
- documenti di autocontrollo HACCP (solo per la vendita di prodotti
alimentari): vanno prodotti nella sede aziendale e tenuti a
disposizione per eventuali controlli dell’ASL. |